Tradurre da una lingua ad un’altra implica un’attività cerebrale molto complessa, che coinvolge anche attenzione, memoria, emotività.
Mentre in passato si pensava che l’attività di traduzione fosse prevalentemente a carico dell’emisfero sinistro, oggi sappiamo che anche l’emisfero destro, deputato ad un apprendimento più intuitivo e sintetico, entra in azione, favorendo in particolare la memorizzazione per associazioni.
Infatti, mentre l’emisfero sinistro riveste una fondamentale importanza per la comprensione e la produzione del linguaggio, quello destro è legato agli aspetti emozionali e pragmatici.
E’ interessante sottolineare ciò che riportano alcuni studi fatti in proposito: le lingue straniere, anche se imparate alla perfezione, non potranno mai essere parlate come la lingua madre. Questo perché le condizioni di apprendimento della lingua madre sono diverse, e innanzitutto iniziano fin dalla nascita dell’individuo, passando attraverso modalità di apprendimento basate anche su meccanismi inconsci ed esperienze corporee e sensoriali he integrano l’aspetto di acquisizione consapevole.
Ad esempio, uno studio coordinato da Alice Mado Proverbio, del laboratorio di elettrofisiologia cognitiva del dipartimento di psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, spiega che ” un bambino impara che un “coltello” è lungo, affilato, lucente, freddo, appuntito: sono le informazioni sensoriali apprese toccando e guardando; che solo gli adulti lo possono maneggiare (informazioni normative); che è pericoloso e può fare male (valenza emotiva)”.
Pertanto, se l’apprendimento della traduzione della parola in un’altra lingua avviene dopo la formazione delle conoscenze sul mondo, cioè dopo i cinque anni circa, il termine non entrerà a far parte del substrato profondo della memoria, perché sarà stato acquisito esclusivamente come informazione fonetica (cioè uditiva) e ortografica.